Le Mappe che abitiamo. Storie di segni, Terra e Identità umana

Le Mappe che abitiamo. Storie di segni, Terra e Identità umana

 Tra tutte le discipline insegnate a scuola ce n’è una che permette di ripensare i modelli del mondo. Eppure rimane la più bistrattata e forse la meno studiata. Si tratta della geografia. Il suo rapporto conflittuale con la scuola risale ai tempi del fascismo, quando il suo sapere è stato smantellato un pezzo alla volta.

In pratica si conferma la tesi dello storico Strabone, già all’inizio dell’era volgare, quando questi arrivò a Roma e notò che i romani, seppur ricchi e potenti, poco sapevano delle questioni del mondo.
Dirà anche che
furono i geografi precedenti in Grecia (era originario del Mar Nero) a mettere a punto una concezione del mondo.

Oggi, davanti a stravolgimenti epocali, abbiamo un bisogno essenziale di questo tipo di sapere. Forse come mai prima d’ora. Altro non può fare la cultura occidentale che tornare a interrogarsi sull’archè, l’origine delle cose.

Siamo circondati da simboli, oltreché da stimoli, ma mancano le mappe per orientarci. A ben guardare di mappe ne usiamo fin troppe, basti pensare al mapping on line. Ma non siamo ancora in grado di gestire fenomeni complessi come la globalizzazione, subendone gli effetti.

Ho posto all’intelligenza artificiale Gemini un interrogativo su cui talvolta gli studiosi di semiologia si sono arrovellati, una domanda secca. Può esistere un simbolo senza la mappa?

La risposta mi è stata data in due punti:

1) Se “mappa” è intesa come leggenda/codice esplicito (come nelle mappe geografiche) sì. Il suo significato può essere appreso per convenzione, abitudine, contesto culturale o somiglianze. Ad esempio un segnale stradale è universalmente riconosciuto anche senza una legenda allegata al cartello.

2) Se “mappa” è intesa in senso più ampio (come sistema di relazione/codice) no. Un simbolo ha significato solo perché fa parte di un sistema di segni, una mappa o una struttura, che ne definisce la relazione con altri segni e con l’oggetto che presenta. Senza una mappa di regole, convenzioni e differenze un simbolo sarebbe solo un oggetto o un suono privo di senso.

Una risposta abbastanza articolata. Ma a mio parere deficitaria nel punto 1. Vero è che un cartello stradale è universalmente riconosciuto. Ma è anche vero che tutti gli automobilisti dotati di patente di guida hanno dovuto studiare sulla carta, o su una “mappa”, l’insieme della segnaletica stradale per poter guidare.

Quindi, in entrambi i punti, la risposta che darei (può esistere un simbolo senza mappa?) è no. La mappa precede il simbolo.

Una discussione soltanto teorica? Non proprio. Nella geografia la questione diventa contingente. Oggi la superficie della Terra si divide in circa duecento Stati. Lo “Stato” è qualcosa che non si muove, lo dice la parola stessa. Anche il termine “territorio”, che non ha nulla ha che vedere con terra bensì con terrore, dipende dai poteri politici. I confini degli Stati sono sempre cambiati. La carta geografica della Germania, ad esempio, è quella che ha subito più mutamenti negli ultimi decenni. Le due guerre ancora in corso, Ucraina e Palestina, ci hanno brutalmente ricordato la pressione che esercita il territorio.
In natura non esistono linee rette. Sono le dinamiche politiche e il potere costituito che tentano di dare un aspetto geometrico, euclideo, alla volto della Terra. Quasi mai riuscendoci, se non a caro prezzo, poiché la Terra prima o poi presenterà il conto.

La geografia forse non offrirà delle risposte ai complessi problemi del mondo. Ma ha una carta che ancora possiamo giocarci: può definire ciò non siamo, prima ancora di ciò che siamo. E ciò che non possiamo – o che non dovremmo – fare. In una partita, si spera, priva di autoritarismo o moralismo.

In conclusione, per capire questo meccanismo ci viene in soccorso l’antropologia, parente stretta della geografia. Per comprendere un fenomeno, una società, una cultura, ci sono diversi livelli di contesto. Esistono società ad «alto contesto» e a «basso contesto». Quelle ad alto contesto, nella definizione degli antropologi, sono quelle i cui membri s’intendono fra loro avendo avuto contatti soprattutto con persone simili a loro, e non hanno bisogno dunque di troppe spiegazioni. Non servono Google Translate o un’app vocale, ad esempio, se il problema è il senso da attribuire alle parole. Quello si capisce solo quando sono chiare le regole d’ingaggio, e quando si osserva in profondità un fenomeno, meglio ancora se da dentro, proprio perché il contesto è altamente influente. Viceversa, nel basso contesto le parole e le spiegazioni, sono sempre necessarie, talvolta eccessive. Ma per entrare nel cuore di un fenomeno occorre un salto di qualità, un cambio di paradigma.