Quando la Geopolitica ignora la Geografia (e la voce del paesaggio)

Quando la Geopolitica ignora la Geografia (e la voce del paesaggio)

In un’epoca dominata da strategie e narrative di potere, la geografia rivendica il suo posto. E può contare su  un alleato potente e inaspettato: il paesaggio.

 

Per comprendere quel che accade nel mondo abbiamo sempre studiato la storia, la politica, l’economia, i trattati internazionali. Tutto ciò che si muove, evolve o muta, abbiamo tentato di racchiuderlo nelle leggi della fisica. Ma senza geografia non avremmo mai il quadro complessivo degli eventi: ogni volta che i leader del mondo prendono decisioni importanti e operative, devono fari i conti con monti, fiumi, mari, deserti, rilievi e pianure.

Occorre però fare chiarezza su un punto decisivo, onde evitare inconvenienti ed equivoci.
La geografia si studia meno a scuola rispetto al passato, eppure le pagine dei giornali sono piene di questioni geopolitiche. Perché il potere della Cina continua ad aumentare? Perché Putin è ossessionato dalla Crimea? L’Europa potrà mai concludere il suo processo d’integrazione? Perché gli Stati Uniti dal ‘900 in poi sono diventati una potenza globale?
A molte di queste domande la geografia fisica può offrire risposte interessanti. E nel prosieguo di questo blog offriremo spunti di riflessione che partono proprio dalla forma delle cose e degli spazi, e quanto questa possa effettivamente condizionare se non addirittura plasmare il destino di quelle stesse cose (inclusi degli esseri viventi che abitano quei luoghi).

Ma la geopolitica altro non è che la geografia piegata ad interessi particolari. Se interpellassimo dieci persone su quale posizione geopolitica dovrebbe assumere questo o quell’altro stato otterremmo dieci risposte diverse. Forse negli ultimi anni la geopolitica è stata sovraesposta, messa un po’ ovunque nella speranza che possa spiegare tutto, con il risultato di non spiegare niente.

Partiamo dalla storia.

Geopolitica è un termine inventato nel 1919 quando era appena finita al Prima guerra mondiale. Chi lo conia è un sociologo svedese, Rudolf Kjellén, ma ancora oggi la geopolitica è attribuita al generale Karl Haushoffer.

Dai loro lavori nascerà una scuola di pensiero sviluppatasi tra gli anni ‘20 e ‘40. Alla base vi era l’idea dello stato come fenomeno spaziale, una definizione che – dato il contesto nel quale prese forma – prestò il fianco all’ideologia tedesca. Ma la sua efficacia, perfino lì, divide gli storici e rimane tutta da dimostrare.
Al punto che alcuni critici avevano definito la geopolitica «un insieme di capriole linguistiche».
Per Haushofer era la dottrina delle forme politiche determinate dall’intreccio tra processi storici e lineamenti della Terra.

Non convinceva il presupposto che le fattezze della Terra determinassero le scelte politiche, in molti casi discutibili o sospettate del pregiudizio di voler primeggiare su una diversa visione del mondo.

Jürgen Habermas, oggi 96enne, considerato il più importante politologo tedesco, ha liquidato la questione affermando che la geopolitica non è più vista come il risultato di un discorso critico, ma come un prodotto confezionato e semplificato da vendere a un pubblico passivo, che definisce «consumatori d’informazione».

Lo stesso Habermas contrappone l'«agire comunicativo» (nato da un’intesa razionale) all'«agire strumentale», orientato all'interesse strategico. La geopolitica tradizionale, intesa come una disciplina che analizza le strategie di potere degli stati in competizione, rientra dunque perfettamente nell'ambito dell'agire strumentale. Quando questa analisi strumentale viene divulgata in modo semplificato e propagandistico dai media, essa smette di essere uno strumento critico e diventa un insieme di «luoghi comuni» e di facili opinioni digeribili, che il cittadino consuma senza vera riflessione critica.

Malgrado gli sforzi, la geopolitica non divenne mai una dottrina scientifica. Ancora oggi si afferma che la geopolitica fu la tragedia di una famiglia, quella degli Haushofer il cui padre Karl si tolse la vita dopo essere stato a lungo interrogato dagli americani a causa del suo coinvolgimento nel Terzo Reich, mentre il figlio Albrecht morì in un campo di prigionia.

Negli anni ‘50 dalle dichiarazioni rilasciate da Haushofer nascerà una scuola geopolitica di stampo americano. Bisognerà attendere gli anni ‘90 perché arrivi nuovamente in Europa, e non venga più considerata come un residuato bellico della Seconda guerra mondiale. Agli interessi particolari tedeschi dello «spazio vitale», vennero sostituiti altri interessi particolari.

Se dunque sull’autenticità della geopolitica non possiamo fare completo affidamento, quali altri strumenti abbiamo per affrontare o interpretare le sfide di oggi?

In questo blog tenteremo di rispondere con un concetto semplice soltanto in apparenza, e quanto mai trascurato: il paesaggio. Entrato a far parte del discorso geografico grazie all’esploratore e geografo Alexander von Humboldt, non rimase solo confinato alla bellezza che possiamo ammirare, ma investiva anche la sensibilità del soggetto che guarda. Il foglio bianco diventa la sua anima e i lineamenti del paesaggio sono i caratteri che vi si stampano (cit. Franco Farinelli).
La scienza era all’epoca agli esordi, ma sul finire del ‘700 von Humboldt diede al paesaggio una connotazione scientifica. Si occupò inoltre del sentimento primigenio che si prova al cospetto della grandiosità e della bellezza della natura. La sua forma conoscitiva è appunto l’ambiente che si staglia sotto i nostri occhi, che corrisponde al mondo inteso come armonica totalità, sotto la quale giace la «rivelazione dell’ordine nascosto sotto la pelle dei fenomeni».
Lo sviluppo di ogni conoscenza altro non è, per Humboldt e seguaci, che la traduzione in termini scientifici di un’impressione «aurorale», espressa appunto dal paesaggio, che non è assolutamente scientifica, ma senza la quale tutta la scienza sarebbe impossibile.

Ecco uno dei motivi per cui geografia e geopolitica non sono la stessa cosa, e nemmeno sinonimi intercambiabili. La prima corre il serio rischio di risultare obsoleta e riposta in soffitta, la seconda imperversa nel dibattito pubblico.

È curioso, poi, che se conosciamo a menadito nome e cognome degli esperti di geopolitica, non riusciamo però a citare un solo geografo. Se mai si dovesse fare per davvero la storia del pensiero umano, nella sua globalità, a Humboldt competerebbe un posto di primo rilievo.